martedì 30 agosto 2011

Le avventure di un povero apprendista pescatore


Oggi vi parlerò di un particolare esercizio estivo. Un passatempo che non è esattamente un diporto e per la quale chi ha il riporto può rischiare il parrucchino e tutti gli altri un esaurimento nervoso. Vi parlerò della pesca.
La pesca è un esercizio per uomini pazienti e donne coscienziose: tutti voi forse non io. Attenzione avete letto? Fin dall’inizio di questo pezzo- sfogo l’ho chiamato in maniera generica e formale, esercizio e non come forse sarebbe più opportuno, attività sportiva.
La questione può sorprendere ma fidatevi: so di cosa sto parlando e quanta abilità occorre. Allungarsi sul bagnasciuga con un verme nevrotico in mano e una marea di zanzare attorno non è facile. Staccare e ributtare in mare tre pesciolini folgorati dalla bombarda, non è una storia per cuori teneri: e necessaria forza d’animo e mano ferma.
Tranquilli, miei cari lettori. Questo pezzo non è la dichiarazione di resa di un uomo sconfitto dai marosi e annoiato dall’amo. Semmai una timida richiesta d’aiuto.
Dopo molti giorni, qualche lancio e abbastanza pesci ho capito che la pesca potrebbe piacermi ma i preparativi son bestiali e quando cominci ad entrare in partita ecco che è ora di tornare a casa.
Negli sport che ho conosciuto e praticato (calcio, pallacanestro, pallamano), i preparativi erano facili e divertenti. Nella pesca invece, tutto è complicatissimo.
Il nodo che l’amico esperto e scaltro ha preparato è un gioco di prestigio difficile da riprodurre nel vento, il galleggiante non galleggia. Il piombo non sprofonda come dovrebbe per non parlare del mulinello – monello che se non stai attento diventa una matassa inestricabile e burlona.
Voi penserete stia solo esagerando ma per quanto mi riguarda la pesca, è fonte di frustrazioni.
Intorno a me tutti esultano raccontando di mirabolanti imprese mentre io sono ancora fermo alla teoria. I vermi mordono? Perché i bigattini si chiamano bigattini e perché alcuni li mettono in frigorifero?
Fin qui le questioni teoriche. Ora ci sarebbe la prassi sulla quale se potessi farei scendere un misterioso silenzio. Se non fosse che il ruolo e la volontà mi impongono di raccontare e quindi lo farò senza alcuna reticenza.
Diciamo che quando pesco (o almeno tento) non somiglio a Sampei. Quando guardo un verme, ho l’impressione pianga, Quando osservo il galleggiante sono assalito da questioni amletiche: perché va giù? Troppo piombo? Perché non va giù? Poco piombo? Quando è il momento di mettere una nuova esca devo schivare uno sciame di zanzare invidiose.
Basta. E’ giunto il tramonto. E ora di smetterla. Smetterla, posare la canna e tornare a casa.
Di solito in quelle ore, è possibile vedere sfilare il sorridente pescatore esperto felice e soddisfatto.
Come lo riconosco? Facile. Dall’’espressione radiosa e soddisfatta del suo volto. Osservandolo bene capisco che ne ha tutto il diritto.
I mulinelli con lui son mansueti, le zanzare lo ignorano, i pesci lo idolatrano e si consegnano docili al suo stomaco.
Come superare quest’onta? Qualcuno me lo dica. E per favore m’insegni.

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