domenica 15 febbraio 2015

La quinta serata del Festival di Sanremo e quel Grande amore che non fa dormire



Figli del tubo catodico, avvinti da nostalgia canaglia, non potevano essere che gli acuti tenorili de Il Volo a trionfare nell’ottocentesca sala da tè allestita in queste notti mannare dal Festival di Sanremo.

Un successo pudico e casalingo quello della RAI che dimostra quanto il Paese sia incapace d’andare oltre i propri limiti, affidando le sue attempate velleità a supposte ambizioni e antiquate estensioni.

Perché aldilà della facile lacrimuccia non credo che i brufoli di una quindicenne evaporino di schianto allo stridio di un grande amore.

Un sentimento volubile che tuonanti saette acustiche non rendono più saldo.

Incanta però, vincolandoci all’istante. Come in una spiumata  istantanea di giovinezze devastate da un tempo scagliato altrove.  

In uno scantinato recondito della nostra memoria, dove qualcuno più libero e visionario dello statico Carlo Conti di queste sere, costruisce una storia autentica che invita tutti a identificarsi, guardarsi con tenerezza, e infine ridere di noi stessi.

Perché alla fine una risata ci seppellirà. Un grande amore non fa dormire.


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