venerdì 13 febbraio 2015

La terza serata del Festival di Sanremo e il sorriso compiaciuto di uno scuro toscano



Se Carlo Conti potesse rinascere son certo lo farebbe sotto le tonde sembianze di una palla stroboscopica. Una di quelle che si metteva negli scantinati quando si voleva fare gli alternativi senza apparire dei disadattati.

Una cover serve proprio a questo. Rinfrescare di nuovo ciò che è destinato ad apparire vecchio e stantio.

Come questo Festival in fondo è e non si vergogna di essere.

Perché tutto è calcolato al millimetro, è l’unico fuoripista è regalato dalle derapate farmacologiche di Arisa e la vista corta di Emma Marrone che vorrebbe dare di più, ma non può stretta più che dai monacali vestiti da striminziti copioni che fanno il gioco di chi, come il Conti impegnato a riciclarsi in una versione stempiata del riportato Baudo, non ha in fondo, molto da dire.

Iersera, rinfrancato da storie già, scritte è apparso addirittura più rilassato del solito azzardando siparietti rap con un sempre sereno Moreno (son due anni che yoyoneggia sul tubo catodico e lui ride incurante dei maroni altrui) e prendendosi snelle rivincite su degli imbolsiti Spandau Ballett.

Il resto son solo cover. Versioni arrangiate di spompati riempi pista. Quelli che a quattordici anni ti permettevano di superare l’imbarazzo dell’insalata russa e puntare dritto a qualcosa di più di un’anonima tapparella. Quelli che se non si era strafatti di Coca  (Cola cosa avevate capito?) ci scappava pure un bacio e si tornava a casa felici e dubbiosi se da quel tenero approccio poteva nascere un fidanzamento o peggio un bambino.

Purtroppo in questo Festival di Sanremo dal credo monastico e sapore liturgico, questo dubbio non esiste spazzato via da abiti e acconciature da elettroencefalogramma piatto. E’ così aldilà delle buone intenzioni, e qualche sgasata nello spazio siderale dell’allucinata follia di Massimo Ferrero e la mordace ironia di Luca e Paolo (loro sì a proprio agio sul palco di Sanremo a differenza dell’inopportuno Siani e lo spaesato Pintus), si ha l’impressione che il sorriso compiaciuto di Conti corrisponda alla perfezione con quello che sin dall’inizio lo scuro toscano voleva creare: uno show da dopolavoro vip che illuminerebbe le serate di qualsiasi centro anziani di una volta, non certo quelle dei centri anziani di oggi che sembrano delle oasi caraibiche.

Molte esibizioni a dire il vero (apparte quelle dedicate ai defunti), vorrebbero cavalcare questo fiorito trend dal quasi morto Raf senza mordente a dire il vero. Ma dov’è finito quell’uomo che nel pieno degli anni 90 rivendicava  senza pudore e chioma al vento, una centralità maschile minata dall’emancipazione femminile?

 Sparito. Annebbiato da un’opacità, quantomeno sospetta, non incide più di tanto.

Ci vorrebbe un po’ di stucco. Giungono le gambe di Nina Zilli. Una versione due punto zero di Mina con le palle vere scrivevo ieri. Da football americano stile Alicia Keys aggiungo oggi. Un attimo fuggente di televisione fuggevole.  Spazzati via dall’introversa Annalisa.  Una che di ugola e capacità vocali ne avrebbe quanto è più di altre, ma a differenza di molte (vedi Malika e Chiara), non aggredisce lo spazio ne sfonda la telecamera e pure in groppa alla sensualissima Ti sento dei Matia Bazar canta bene ma non straripa. Almeno quanto Bianca Atzei.  A sfondar lei ci pensa da esperto bomber qual è stato, Filippo Inzaghi.  Chissà se almeno lui lo sa con chi gioca a briscola la notte.  Se lei o una versione più alta di  Giusi Ferreri. Dal palco non s’è ancora capito.

E se nella serata del riciclo è delle imitazioni, ci sta trionfi Nek, ormai sempre più simile vocalmente alle inconsistenti esecuzioni di Chris Martin dei Coldplay, una certezza dal tinello di casa l’ho evinta benissimo: Carlo Conti è l’unico vero erede in RAI di Pippo Baudo. Iersera, ha raccolto definitivamente i frutti della sua perseveranza di conduttore soldatino sempre pronto a mettersi a disposizione dell’azienda senza mai fare polemiche con dichiarazioni roboanti e pretenziose. Dettagli non trascurabili in tempi di crisi e identità mutevoli perché oggi lui per la RAI è tale e quale a Pippo Baudo e senza la necessità di ricorrere alle magie del reparto trucco e parrucco; ormai, con l’avanzare dell’età gli è naturale. E se continuerà a fare il soldatino e a no
n polemizzare con la Rai, condurrà molti più Festival di lui. Il tempo è dalla sua. Il colore anche. Nero. E se gli va di sedere come al suo conterraneo sorridente al potere, dall’anno prossimo il Festival di Sanremo potrebbe chiamarsi Festival di Sannero. Tanto in tempi così bui, nessuno noterebbe la differenza.

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