sabato 20 giugno 2015

Alvaro Recoba : decadente piacere di un cicllco rimpianto



Se Gianluca Vialli è stato il mio mito d’infanzia, Alvaro Recoba è stato il matto della mia adolescenza. L’ideale per quei  tempi oscuri e  una squadra pazza. Un controsenso pigro dal talento in
comprensibile.  Assolutamente astruso in un calcio invecchiato sotto berrettini d’aspro tatticismo. Una parabola struggente e malinconica sdraiata sulle rive di una grazia evidente. Ma anche un esempio di fedeltà rassegnata e danarosa disimpegnata e anarchica.

Una brezza dagli occhi a mandorla capace di trasformare un dribbling in una speranza ogni partita in un rimpianto. Assurda epifania di un campione autentico ingolfato nelle altalenanti lune di galassie in costante evoluzione di flash e copertine. E lui lì, sempre lì, lì nel mezzo spesso e volentieri ad interpretare la sorridente scappatoia di lusso. Eccesso da ultimi minuti. Perché il campo in quegli anni era di gente noiosa, disciplinata, banale, costante, pedante, fissata all’esattezza di uno schema e la certificazione di un destino.  Beatificato da Massimo Moratti dopo l’esordio in coppia con Ronaldo i  gol fantascientifici contro Brescia ed Empoli ad innescar illusioni e oscurar in diciotto minuti  la chioma padana di Dario Hùbner che quel pomeriggio lì  del 31  agosto 1997, emergeva anche lui  dalla nebbia di un fitto apprendistato.

Appreso da subito il mestiere di oziosa eccedenza, anche lui, con l’incoscienza dei ventidue anni, scese in provincia  attardandosi in laguna al Venezia a distillar occasioni e magie per i rudi piedi di Pippo Maniero, antico bucaniere d’area di rigore che in seguito, manco a dirlo, non  ripeterà mai più una stagione così esaltante facendosi notare più per le occasioni mancate che per i risultati raggiunti capace di andare in Scozia al Rangers Glasgow per poi ritornare  dopo quaranta giorni, nostalgico Cincinnato, ai campicelli natii in quel di Piove di Sacco.  Eccellenza veneta,
  Filippo Maniero non fu mai abbastanza per il calcio delle veline  e dei riflettori. Proprio come Alvaro Recoba in fondo. Capace di esaltarsi dalla lunga distanza, come di deprimersi dal dischetto del rigore  di un preliminare di Coppa Campioni. Come se il superamento di un limite, la consapevolezza di un traguardo fosse nulla davanti al decadente piacere di un ciclico rimpianto. Una droga di cui Moratti difendendolo fino allo stremo, non è mai riuscito mai a fare a meno e nemmeno i suoi tifosi.

In fondo, la vita si costruisce anche così bivio per bivio resta di noi un labirinto di strade non prese. Il Chino lo sa, l’ha sempre saputo e in questo arso  avvenire, s’infila chiara, una stilla di rimpianto.

Come tutti i sabati per me maledizione.


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