venerdì 5 agosto 2016

Come tirare i dadi e puntare su otto

La perfezione non è permanente,
dura solo un attimo.
(Nadia Comaneci)


Vivevano a pochi chilometri di distanza. E i loro nomi, tutto sommato, non contano ma se proprio li volete e non riuscite a farne a meno lui chiamatelo G. lei M. perché in vita mia non ho mai conosciuto un G. che non abbia avuto a che fare con una M. e  perché dentro una G c’è sempre una M. Fidatevi, io lo so.
Questa comunque se volete, a prescindere dai vostri nomi e cognomi, è la loro storia.
 Quando era stato il momento di decidere per le loro vite  un po’ per dubbie credenze e un po’ per accidente,  G. e M. si erano ritrovati a fare scelte discordanti.
Ma non differenti o poco attigue. Proprio del tutto divergenti. Contrarie.
Lui amava alzarsi la mattina presto, anche se non aveva niente d’immediato da fare. Gli pareva di perdersi il meglio della giornata, restando a letto quando era già ben riposato e quando, d’inverno, la notte ci metteva di più a districarsi in dì poco brillanti.
Lei diceva che le trapunte erano il suo eccesso. E stava attenta a non dire lenzuola, per non essere travisata e apparire di colpo oziosa o peggio lussuriosa. Perché M. non disdegnava la comitiva, ma stare a letto le piaceva come un bicchiere di grappa davanti al camino. Una letizia da godere. Meglio da soli, se nessuno ne comprende il significato. Che da lussuriosa ad alcolizzata ai tempi d’oggi come cantava Anna Oxa nel 1986, è tutto un attimo.
Lui la sera leggeva molto retinando parole nella speranza di trovarne una che potesse sintetizzare quella bassa statura che mal si combinava col suo sguardo drammatico e intenso. Le parole gli erano sempre piaciute. Gli sembravano infinite possibilità di una vita diversa. Ciottoli levigati dal mare dell’esperienza, sempre pronti a lanciarsi in una nuova avventura, a volte le parole parevano scorrere pallide nell’ingorgo della saliva eppure si sorprendeva ancora quando ne trovava una brillante in mezzo alle altre come uno zaffiro in un frantume di bottiglia e in quel brivido da arcigno  conquistatore  s’addormentava morbido. Indefinitamente pago di quel letargo meditabondo. In fondo tutto quell’indagare era la sua corazza. Ci si contrava dentro fitto come per ricevere una spinta verso la mattina dopo.
Lei la sera aveva sempre mille cose da fare. Spettacoli, concerti, vedere uno. Ma anche quando aveva un compagno quel “vedere uno” era rimasto un atto indeterminativo e non si era mai legata a nessun uomo degno di un articolo determinativo perché pur slanciata e bella, non faceva mai il passo più lungo della gamba. Non per discrezione e sagacia.  Ma perché i toni sfumati tutto sommato le  stavano bene e soprattutto non destavano preoccupazioni. Andava sempre a letto presto, a volte senza neanche cenare, per non avere scrupoli l’indomani e mantenere la linea.
Una mattina di fine novembre G. e M. s’incontrarono a casa di amici comuni, nel campo neutro dei loro personali dilemmi. Parlarono con gentilezza e si guardarono adagio, come se ci fosse una diversità da salvaguardare. Istintivamente si riconoscevano. Razionalmente erano due assoluti estranei. Non una situazione, un posto, un appuntamento, un evento che li cogliesse insieme e maturasse futuro.
Ma la  loro indole indicava ad ognuno di loro che quella assoluta diversità era come l’amore. Un’impossibile e fatata coincidenza di totale - assoluta profetica affinità.
Come tirare i dadi e puntare su otto. E vedere saltare fuori per venti volte di fila otto, in uno stupore che aumenta di un soffio ogni lancio. Solo che nel loro caso era come fare  venti volte quattro, avendo puntato su otto. Come amarsi per intero per una serie di combinazioni smarrite, ma smarrite con compiutezza aritmetica. Per nove mesi interi. Senza mai oltrepassare il confine perfetto di quella disfatta intesa. Poi venne l’estate e benché  il testosterone assaltasse le reciproche diligenze epidermiche chiedendo perentoria definizione il sacro senso del pudore non calò mai la sua severa attenzione. Mai. Fino alla fine quando un gesto qualunque può consegnarti al paradiso  degli intrepidi o condannarti all’inferno dei vili .  Intrappolati in un eterno istante, s’accontentarono di un sorridente purgatorio.
Distolsero lo sguardo dopo un numero infinito d’istanti e non ci pensarono più. Quasi più.


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