sabato 11 febbraio 2017

La quarta serata del Festival e il viscido impiastro del sordo cinismo

Un viscido impiastro è il sordo cinismo. Un additivo
provocante scollamento, dissociazione, scazzo.
Scorso il fremito pettegolo del debutto, archiviate le birichinerie linguistiche di Francesco Totti Sciopè e le farinose confessioni di Keanu Reeves, sorvolando snelli   rivedibili sperimentazioni si è giunti alla riproposizione dei cosiddetti big.
Una peperonata di suoni davvero indigesta, non lenita purtroppo, dal trionfo del giovane Lele . scontato come quasi tutto in questo Festival cui non è bastata la contemporanea ma giusta eliminazione di D’Alessio, Al Bano, Ron, per rifarsi una credibilità e aprirsi  davvero al nuovo.
Quale vien da chiedersi in tanta prostrazione testuale e scoraggiamento artistico?
Perché fra tanto orgoglio femminista dilagante è ancora l'amore a fare tasto e testo
Perché il tempo passa ma  la cosa che vorremmo è sempre la stessa:
Amore appunto. E spazi  abbastanza grandi da viverlo   
Non  per pura pena creativa ed esistenziale
Ma perché  dondolarsi nel’attesa di ciò che non c’è,  val più della  somma fatica di cercarlo.
Come farlo d’altronde in un mondo diffidente,  macchinoso, insensibile, sporco, zotico e autolesionista che vede nell’amore la sua unica ancora di salvezza?
E poco importa se a cantarlo sia l’ingrigito Zarrillo o  l’esangue Bravi.
Ciò che importa, (e un po’ lagna) è che  nel 2017 che sogna indipendenza e banda larga e ancora l’amore a catturare attenzione
Propellente perfetto per l’ itinerario dello  statico duo Carlo & Maria attraverso lassi di governi ambigui, gestioni ipotetiche e molta paura di finire.
E se poi Ermal Meta canta di brutalità domestica, o Francesco Gabbani irride   scimmiesco, spiritualismi fragili con la sua "Occidentali's karma", trattasi di eccezioni in uno show punzonato dall’ artificio annoiato  di Fiorella Mannoia, dal rock sensuale  di Paola Turci e dalla trasformazione del coolissimo  Samuel, passato da frontman dei Subsonica a canzonaro  leggero e cappelluto.
Fine pena mai ha scritto fuori dalla sua sorridente cella la quarta serata di Sanremo.
Meschinità e terrore son dentro di noi trovando sul palco di Sanremo, consona estensione, straniante accompagnamento.
Quasi un sollievo a questo punto, sorridere  insieme a Virginia Raffaele  in gambissima (non solo per effettivo e luccicante talento), con  la sua spietata e tentatrice Sandra Milo,  senza  star a titillare il pelo sulla presenza di Marika Pellegrinelli in Ramazzotti   (dopo le anonime francesi della terza sera va bene tutto), e affrancarsi una buona volta dalla sfilata di dolore che Maria  a ufo  passeggia tra una stecca e l’altra.
Ieri è stato il turno di nonno e nipote presenta alla strage di Nizza: sgambato peraltro.
 Tutto mestamente impudente. O forse solo cinico. Vedi sopra.


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